Eccoci alla terza puntata, dopo la prima e la seconda dei giorni scorsi.
Buon divertimento
…ma qualcuno che lo commenta? Devo fare tutto io?
“Abbiamo calcolato con l’appuntato Riccoboni almeno una
ventina di minuti a cammino veloce”, mentre parlava aveva
scambiato un cenno d’intesa con il sottoposto. “Quindi,
facendo coincidere i tempi, ha chiuso lo spaccio intorno alle
otto e quaranta e nei venti minuti successivi ha scoperto il
compagno Olmo cadavere ed è corso al frantoio e qui c’ero
anch’io con il mio carico d’olive e posso testimoniare il suo
alibi, insieme ad almeno la metà degli abitanti di Montebello.
Erano le nove in punto, don Alfio. Tutto perfetto… Il suo
racconto ha una sua logicità, non c’è che dire”. Il silenzio che
avevano creato le parole dell’investigatore, fu rotto dal tentativo
di don Alfio di darne sostanza. “È andata proprio così,
maresciallo, la nebbia… Il freddo… e poi… poi il compagno
Olmo… Alla vista di quello spettacolo, maresciallo, sono
scappato come se fossi inseguito dal diavolo… Avevo
paura… Una paura che mi ha fatto perdere la testa…”.
“Tutto comprensibilissimo, don Alfio… Mi scusi”. Adesso si
era rivolto all’appuntato: “ Come va Riccoboni? Hai trascritto
tutto o sei rimasto indietro?”. “Perdere la testa… Sì, maresciallo!”.
La macchietta dell’appuntato continuava a scrivere
sul foglio che aveva davanti. “Be’, don Alfio”, continuò il
maresciallo, “se vuole, potremmo cambiare il procedimento
logico. Compiere un percorso che, cambiando le verità che a
noi sembravano accertate, potrebbe portare a conclusioni del
tutto inaspettate…”. “In che modo, maresciallo Leonardi?”,
chiese l’oste sempre più a disagio, mentre sudava copiosamente.
“È molto semplice, don Alfio!”. Stava dominando la
scena una spanna sopra gli altri. “In fondo avrebbe potuto
incontrare il compagno Olmo, che so vicino allo spaccio,
prima d’iniziare la serata lavorativa. Quel tardo pomeriggio
il freddo era intenso e poi con quella nebbia, chi non era al
frantoio difficilmente avrebbe potuto trovarsi in giro… E così
senza testimoni che la potessero riconoscere, mi scusi, mi
permetta l’impudenza, avrebbe potuto convincerlo a seguirlo,
non so con il pretesto più banale, verso la Grande Quercia…
Un posto isolato, lontano dal centro abitato, lontano da sguardi
indiscreti, e da qui, dopo averlo drogato…”. I presenti si
erano rivolti a lui stupefatti. “Sì, signori, il compagno Olmo
è stato drogato”, aveva continuato. “Vi meraviglia tanto?”.
Di nuovo quell’insopportabile vociferare di sottofondo.
“Signori, per cortesia! Cerchiamo di collaborare”.
L’atmosfera sospensoria aveva fatto da cornice alle sue
parole. “Dicevo”, aveva ripreso, “dopo averlo drogato, don
Alfio, avrebbe potuto legarlo ad un cappio e lei possiede una
struttura fisica non indifferente… Come si dice, scusatemi il
francesismo, le fisique du role…”. Il proprietario dello spaccio
sbuffava e s’agitava, mentre seguiva la ricostruzione che
il maresciallo con tanta solerzia stava facendo. “E poi tornare
allo spaccio”, aveva proseguito imperterrito. “Iniziare la
serata lavorativa, come se nulla fosse, per poi ritornare in un
secondo tempo, dopo aver vestito i panni dell’assassino, ed
inventare la messinscena del ritrovamento del cadavere, al
frantoio. Don Alfio, non le pare plausibile? Con un po’ di
fortuna le poteva andare tutto per il verso giusto”. L’oste si
era alzato furioso in volto e, brandendo la mano piegata a
pugno, gli si era rivolto, mentre l’uomo in divisa, tranquillamente,
ne studiava le mosse. Nel medesimo istante in cui
aveva avuto quella reazione scomposta, comprese che la
medesima non lo metteva nella giusta luce di fronte al militare
e per riparare i danni che pensava d’aver procurato alla
sua immagine se ne uscì con un maldestro tentativo di portarselo
dalla sua parte. “Un amico, un vero amico per me il
compagno Olmo; non avrei mai potuto, soprattutto per quel
sentimento di riconoscenza che mi legava a lui e il rispetto
che gli deve l’intera comunità! Colpirlo avrebbe significato
abbattere un simbolo della resistenza!”. Parlava come un
libro stampato, ma non era lui, si aveva la sensazione, come
prima, che le sue risposte fossero coscientemente studiate;
quel parafrasare la vita della vittima mancava di spontaneità,
cosa che era una prerogativa del proprietario dello spaccio,
quando non si sentiva minacciato dalle circostanze. Perché,
don Alfio, si comportava in quel modo? Cosa aveva da temere,
se possedeva, come voleva far intendere lui, la coscienza
pulita? Che fosse un tipo emotivo e scosso da quanto successo
lo aveva compreso fin dal primo momento al frantoio
delle Tre Croci, ma perché mostrare un atteggiamento sulla
difensiva ad un uomo che era vero che lo incalzava, ma lo
faceva perché era quello il suo mestiere? Al maresciallo
non rimase altro che continuare per il percorso intrapreso.
Una sorta di cammino pieno di curve e tornanti. “Non si
preoccupi, don Alfio, le mie sono solo supposizioni, per
fortuna sua, non avvalorate dalle prove”. Il notaio Ricarolis
ed il dottor Montini, entrambi in attesa del loro destino
interrogatorio, si scambiarono sguardi preoccupati, mentre
il dottor Diotallevi, nel frattempo, non aveva smesso di tallonare
da presso il conte che giocherellava, distrattamente,
con i polsini della camicia. La fiamma del camino, che
aveva perso il dinamismo di poco prima, indugiava nella
ricerca vitale di un ciocco di legna. “In effetti, don Alfio,
c’è un punto che gioca a suo favore”, aveva continuato. “Ed
è il movente. Ogni assassino deve avere un movente, anche
il più insensato, ma deve avere un movente. Questo ci dice
la casistica criminale nella quasi totalità dei casi, ma per lei,
don Alfio, nonostante mi sforzassi, non ho trovato una ragione
plausibile. Mi sono chiesto: perché organizzare tutta questa
sceneggiata? Cosa aveva da nascondere agli occhi del
compagno Olmo? Ma soprattutto, cosa aveva da temere da
lui? Non era un cliente dello spaccio? E per lei, don Alfio,
come so bene, non mi ha parlato l’altro giorno di quei operai
che a pranzo e a cena l’interessavano con la prospettiva di
lauti guadagni, il lavoro è tutto! Non ne conviene?… E poi,
come dirò più tardi, lei, don Alfio, in un certo senso mi ha
aiutato a far prendere un indirizzo alle indagini ed è stato un
aiuto di non poco conto!”. A quelle parole, che avevano tutta
l’intenzione di liberarlo dai sospetti, era ricaduto spossato
sullo schienale della sedia, cercando, nel limite del consentito,
di ricomporre a decenza la sua persona. Il maresciallo
ne aveva approfittato per avvicinarsi al camino, che ormai
viveva del calore della brace, e gettarci dentro i piccoli ciocchi
di legna che aveva preparato per quella evenienza; per
poi riprendere a parlare con fare da attore consumato nell’ansia
e nel timore dei presenti. Però, preso dalle sue elucubrazioni,
s’era dimenticato del buon appuntato che, in
disparte, continuava l’esercizio della scrittura. “Riccoboni,
evita di trascrivere le mie considerazioni, seppure interessanti,
sono solo considerazioni”. Il sottufficiale non sembrava
proprio convinto. “Certo, certo maresciallo”, gli rispose,
mentre con la coda dell’occhio, il maresciallo, lo aveva visto
cancellare qualcosa dal foglio di carta che aveva davanti.
“Allora, riprendiamo Dottor Montini?”, decise di continuare
sempre sullo stesso tono. Era una smorfia quella che, adesso,
vedeva rivelarsi sul volto del sindaco? Il primo cittadino
si era aperto la giacca, rigorosamente blu, che portava
sotto il cappotto di lana pesante. L’atmosfera si era surriscaldata
anche per lui? Ma era singolare che ciò accadesse
proprio nel momento che aveva fatto il suo nome. “Lei, dottor
Montini, si è presentato come l’amico di tutti e questo fin
dall’inizio mi ha colpito molto. Amico del compagno Olmo,
non avete combattuto insieme nella resistenza? Amico del
notaio Ricarolis e del conte Alfredo; le vostre battute di caccia
sono famose! Tutti ne parlano in paese e poi l’amicizia,
anche negli affari, con il compianto commendatore Ernesto
Almiranti. E probabilmente anche di Nino Botti, ma per lui
non è che ci voleva tanto, non era l’amico di tutti in paese?
Non le pare, detto fra noi, d’avere le mani in pasta un po’
dappertutto?”. Il sindaco, che aveva tentato di difendersi dal
primo momento con un paludoso formalismo da facciata,
cercando d’allontanare il benché minimo sospetto dietro gli
interessi della comunità, se ne uscì con: “Cosa c’entra con
la morte del compagno Olmo? E poi con l’amicizia con il
povero Ernesto Almiranti? Questo fa parte della natura e del
carattere delle persone e, mi scusi, non credo che sia un
reato?”. “Certo, signor sindaco, non è una colpa, ma, se lei
mi permette, una constatazione che potrebbe arricchire,
come la cornice di un quadro, l’opera di un pittore…
Nessun commento:
Posta un commento