Benvenuti


Questo Blog è dedicato interamente a Clive Cussler, ai suoi libri, ai suoi personaggi, tra tutti Dirk Pitt.

Qui troverai tutti i libri di Cussler, le opinioni gli approfondimenti...

e sopratutto uno spazio per parlare insieme del maestro dell'avventura

martedì 3 maggio 2011

Le Nebbie del Passato – terza parte


Eccoci alla terza puntata, dopo la prima e la seconda dei giorni scorsi.


Buon divertimento


…ma qualcuno che lo commenta? Devo fare tutto io?


“Abbiamo calcolato con l’appuntato Riccoboni almeno una

ventina di minuti a cammino veloce”, mentre parlava aveva

scambiato un cenno d’intesa con il sottoposto. “Quindi,

facendo coincidere i tempi, ha chiuso lo spaccio intorno alle

otto e quaranta e nei venti minuti successivi ha scoperto il

compagno Olmo cadavere ed è corso al frantoio e qui c’ero

anch’io con il mio carico d’olive e posso testimoniare il suo

alibi, insieme ad almeno la metà degli abitanti di Montebello.

Erano le nove in punto, don Alfio. Tutto perfetto… Il suo

racconto ha una sua logicità, non c’è che dire”. Il silenzio che

avevano creato le parole dell’investigatore, fu rotto dal tentativo

di don Alfio di darne sostanza. “È andata proprio così,

maresciallo, la nebbia… Il freddo… e poi… poi il compagno

Olmo… Alla vista di quello spettacolo, maresciallo, sono

scappato come se fossi inseguito dal diavolo… Avevo

paura… Una paura che mi ha fatto perdere la testa…”.

“Tutto comprensibilissimo, don Alfio… Mi scusi”. Adesso si

era rivolto all’appuntato: “ Come va Riccoboni? Hai trascritto

tutto o sei rimasto indietro?”. “Perdere la testa… Sì, maresciallo!”.

La macchietta dell’appuntato continuava a scrivere

sul foglio che aveva davanti. “Be’, don Alfio”, continuò il

maresciallo, “se vuole, potremmo cambiare il procedimento

logico. Compiere un percorso che, cambiando le verità che a

noi sembravano accertate, potrebbe portare a conclusioni del

tutto inaspettate…”. “In che modo, maresciallo Leonardi?”,

chiese l’oste sempre più a disagio, mentre sudava copiosamente.

“È molto semplice, don Alfio!”. Stava dominando la

scena una spanna sopra gli altri. “In fondo avrebbe potuto

incontrare il compagno Olmo, che so vicino allo spaccio,

prima d’iniziare la serata lavorativa. Quel tardo pomeriggio

il freddo era intenso e poi con quella nebbia, chi non era al

frantoio difficilmente avrebbe potuto trovarsi in giro… E così

senza testimoni che la potessero riconoscere, mi scusi, mi

permetta l’impudenza, avrebbe potuto convincerlo a seguirlo,

non so con il pretesto più banale, verso la Grande Quercia…

Un posto isolato, lontano dal centro abitato, lontano da sguardi

indiscreti, e da qui, dopo averlo drogato…”. I presenti si

erano rivolti a lui stupefatti. “Sì, signori, il compagno Olmo

è stato drogato”, aveva continuato. “Vi meraviglia tanto?”.

Di nuovo quell’insopportabile vociferare di sottofondo.

“Signori, per cortesia! Cerchiamo di collaborare”.

L’atmosfera sospensoria aveva fatto da cornice alle sue

parole. “Dicevo”, aveva ripreso, “dopo averlo drogato, don

Alfio, avrebbe potuto legarlo ad un cappio e lei possiede una

struttura fisica non indifferente… Come si dice, scusatemi il

francesismo, le fisique du role…”. Il proprietario dello spaccio

sbuffava e s’agitava, mentre seguiva la ricostruzione che

il maresciallo con tanta solerzia stava facendo. “E poi tornare

allo spaccio”, aveva proseguito imperterrito. “Iniziare la

serata lavorativa, come se nulla fosse, per poi ritornare in un

secondo tempo, dopo aver vestito i panni dell’assassino, ed

inventare la messinscena del ritrovamento del cadavere, al

frantoio. Don Alfio, non le pare plausibile? Con un po’ di

fortuna le poteva andare tutto per il verso giusto”. L’oste si

era alzato furioso in volto e, brandendo la mano piegata a

pugno, gli si era rivolto, mentre l’uomo in divisa, tranquillamente,

ne studiava le mosse. Nel medesimo istante in cui

aveva avuto quella reazione scomposta, comprese che la

medesima non lo metteva nella giusta luce di fronte al militare

e per riparare i danni che pensava d’aver procurato alla

sua immagine se ne uscì con un maldestro tentativo di portarselo

dalla sua parte. “Un amico, un vero amico per me il

compagno Olmo; non avrei mai potuto, soprattutto per quel

sentimento di riconoscenza che mi legava a lui e il rispetto

che gli deve l’intera comunità! Colpirlo avrebbe significato

abbattere un simbolo della resistenza!”. Parlava come un

libro stampato, ma non era lui, si aveva la sensazione, come

prima, che le sue risposte fossero coscientemente studiate;

quel parafrasare la vita della vittima mancava di spontaneità,

cosa che era una prerogativa del proprietario dello spaccio,

quando non si sentiva minacciato dalle circostanze. Perché,

don Alfio, si comportava in quel modo? Cosa aveva da temere,

se possedeva, come voleva far intendere lui, la coscienza

pulita? Che fosse un tipo emotivo e scosso da quanto successo

lo aveva compreso fin dal primo momento al frantoio

delle Tre Croci, ma perché mostrare un atteggiamento sulla

difensiva ad un uomo che era vero che lo incalzava, ma lo

faceva perché era quello il suo mestiere? Al maresciallo

non rimase altro che continuare per il percorso intrapreso.

Una sorta di cammino pieno di curve e tornanti. “Non si

preoccupi, don Alfio, le mie sono solo supposizioni, per

fortuna sua, non avvalorate dalle prove”. Il notaio Ricarolis

ed il dottor Montini, entrambi in attesa del loro destino

interrogatorio, si scambiarono sguardi preoccupati, mentre

il dottor Diotallevi, nel frattempo, non aveva smesso di tallonare

da presso il conte che giocherellava, distrattamente,

con i polsini della camicia. La fiamma del camino, che

aveva perso il dinamismo di poco prima, indugiava nella

ricerca vitale di un ciocco di legna. “In effetti, don Alfio,

c’è un punto che gioca a suo favore”, aveva continuato. “Ed

è il movente. Ogni assassino deve avere un movente, anche

il più insensato, ma deve avere un movente. Questo ci dice

la casistica criminale nella quasi totalità dei casi, ma per lei,

don Alfio, nonostante mi sforzassi, non ho trovato una ragione

plausibile. Mi sono chiesto: perché organizzare tutta questa

sceneggiata? Cosa aveva da nascondere agli occhi del

compagno Olmo? Ma soprattutto, cosa aveva da temere da

lui? Non era un cliente dello spaccio? E per lei, don Alfio,

come so bene, non mi ha parlato l’altro giorno di quei operai

che a pranzo e a cena l’interessavano con la prospettiva di

lauti guadagni, il lavoro è tutto! Non ne conviene?… E poi,

come dirò più tardi, lei, don Alfio, in un certo senso mi ha

aiutato a far prendere un indirizzo alle indagini ed è stato un

aiuto di non poco conto!”. A quelle parole, che avevano tutta

l’intenzione di liberarlo dai sospetti, era ricaduto spossato

sullo schienale della sedia, cercando, nel limite del consentito,

di ricomporre a decenza la sua persona. Il maresciallo

ne aveva approfittato per avvicinarsi al camino, che ormai

viveva del calore della brace, e gettarci dentro i piccoli ciocchi

di legna che aveva preparato per quella evenienza; per

poi riprendere a parlare con fare da attore consumato nell’ansia

e nel timore dei presenti. Però, preso dalle sue elucubrazioni,

s’era dimenticato del buon appuntato che, in

disparte, continuava l’esercizio della scrittura. “Riccoboni,

evita di trascrivere le mie considerazioni, seppure interessanti,

sono solo considerazioni”. Il sottufficiale non sembrava

proprio convinto. “Certo, certo maresciallo”, gli rispose,

mentre con la coda dell’occhio, il maresciallo, lo aveva visto

cancellare qualcosa dal foglio di carta che aveva davanti.

“Allora, riprendiamo Dottor Montini?”, decise di continuare

sempre sullo stesso tono. Era una smorfia quella che, adesso,

vedeva rivelarsi sul volto del sindaco? Il primo cittadino

si era aperto la giacca, rigorosamente blu, che portava

sotto il cappotto di lana pesante. L’atmosfera si era surriscaldata

anche per lui? Ma era singolare che ciò accadesse

proprio nel momento che aveva fatto il suo nome. “Lei, dottor

Montini, si è presentato come l’amico di tutti e questo fin

dall’inizio mi ha colpito molto. Amico del compagno Olmo,

non avete combattuto insieme nella resistenza? Amico del

notaio Ricarolis e del conte Alfredo; le vostre battute di caccia

sono famose! Tutti ne parlano in paese e poi l’amicizia,

anche negli affari, con il compianto commendatore Ernesto

Almiranti. E probabilmente anche di Nino Botti, ma per lui

non è che ci voleva tanto, non era l’amico di tutti in paese?

Non le pare, detto fra noi, d’avere le mani in pasta un po’

dappertutto?”. Il sindaco, che aveva tentato di difendersi dal

primo momento con un paludoso formalismo da facciata,

cercando d’allontanare il benché minimo sospetto dietro gli

interessi della comunità, se ne uscì con: “Cosa c’entra con

la morte del compagno Olmo? E poi con l’amicizia con il

povero Ernesto Almiranti? Questo fa parte della natura e del

carattere delle persone e, mi scusi, non credo che sia un

reato?”. “Certo, signor sindaco, non è una colpa, ma, se lei

mi permette, una constatazione che potrebbe arricchire,

come la cornice di un quadro, l’opera di un pittore…

Nessun commento: