Benvenuti


Questo Blog è dedicato interamente a Clive Cussler, ai suoi libri, ai suoi personaggi, tra tutti Dirk Pitt.

Qui troverai tutti i libri di Cussler, le opinioni gli approfondimenti...

e sopratutto uno spazio per parlare insieme del maestro dell'avventura

lunedì 2 maggio 2011

Le Nebbie del Passato – seconda parte

Dopo la prima parte pubblicata ieri, ecco la seconda parte del capitolo 19 del romanzo le nebbie del passato.

Il comandante di Montebello contemplava, come ricordava

il giornalista nel suo articolo, il classico metodo investigativo;

una sorta di scuola ricevuta nell’esperienza degli

interrogatori che, nel caso specifico in cui era impegnato,

consisteva nel mettere a confronto, uno di fronte all’altro, i

sospettati nel tentativo di creare discrepanze negli alibi; una

tattica concepita per farli cadere in contraddizione, che spesso

aveva dato dei buoni risultati. Era un colpo necessario,

prima dell’affondo decisivo, che nella peggiore delle ipotesi

avrebbe potuto aiutarlo a dimostrare che il suo intuito stava

seguendo la pista giusta. C’era, infine, da considerare che

tutto questo prodigarsi nelle indagini si potesse trasformare

nient’altro che in un buco nell’acqua, ma, perso per perso,

bisognava pur tentare; ma questa è l’ultima delle possibilità

che un buon investigatore deve tener presente. Una sorta

di ottimismo nelle indagini non guasta mai, è quasi d’obbligo!

“Maresciallo, il dottor Fortini al telefono!”, lo aveva

richiamato l’appuntato dal piano terra. “Passami la linea in

ufficio”, rispose rassegnato. Non c’erano dubbi che una

telefonata a quell’ora del mattino non poteva essere altro che

una conseguenza della pubblicità dell’articolo di giornale

che doveva aver dato fastidio non solo ai suoi superiori. E

come volevasi dimostrare: “Sì, sono il maresciallo Leonardi.

Buongiorno, dottor Fortini… Sì, l’ho letto. Che idea mi sono

fatto? Detto tra noi, un articolo sensazionalistico che cerca di

gettare discredito sul nostro lavoro. Come si dice: molto

fumo e poco arrosto. Nell’uso dell’attuale giornalismo, confezionato

ad arte per influenzare l’opinione pubblica. Per le

indagini, al momento, ci potrebbero essere degli sviluppi, ma

è presto non vorrei sbilanciarmi data la delicatezza della

situazione. Sì, le elezioni… Sì, lo so, da Roma… Se ci saranno…

Certamente, dottore… Come, non si è ancora ripreso?...

è sicuramente una freddura più fastidiosa del solito…

D’altronde anche a me… Quando si sentirà meglio, verrà a

trovarmi?... Sì, grazie dottor Fortini… Grazie, ancora!”. Era

il rincorrersi delle responsabilità che, per via gerarchica,

aveva da sempre interessato le forze dell’ordine e a maggior

ragione in quel frangente da clamore mediatico.

“Riccoboni, per favore”, si rivolse all’appuntato dalle scale,

“ho bisogno di riflettere! Da questo momento in poi non ci

sono per nessuno… Don Alfio, lei è in anticipo!”, si era trovato

davanti all’oste dello spaccio che aveva fatto capolino

ai piedi della scala che portava al suo ufficio. “Pensavo di

sbrigarmela in poco tempo… Maresciallo, oggi c’è il mercato

e…”, gli rispose, giustificandosi. “Sì, lo so, ma dobbiamo

aspettare anche gli altri. Un po’ di pazienza, è quasi ora, a

tra poco, don Alfio”. Richiuse nel rumore della porta a vetri

l’ufficio.

La fiamma del camino, grazie al lavoro paziente del

maresciallo Leonardi, sembrava riprendere vigore dalla

cenere della notte e rincuorare le tanto attese speranze di quel

mattino, che, per il graduato, avevano il sapore della rivincita

personale. L’orologio a pendolo dei monaci benedettini,

che rintoccava ogni quarto d’ora, segnava quindici minuti

alle dieci. “Riccoboni”, chiamò di nuovo il maresciallo.

Sempre dalle scale gli rispose l’appuntato: “Sì, maresciallo?”.

“Portami due sedie!”. E in risposta dal sottoposto ottenne:

“Sono arrivati il dottor Montini ed il notaio Ricarolis.

Che faccio, possono salire?”. “No, Riccoboni! Non è ancora

il momento! Mi fai sempre ripetere le stesse cose!

Aspettiamo, almeno fino alle dieci, il conte Alfredo”.

“Maresciallo!”. Lo spilungone dell’appuntato si era avvicinato,

risalendo impacciato le scale, fino a fermarsi davanti

alla porta del suo ufficio e aveva accennato: “Stanno bisbigliando

tra loro… e…”. “Non ti preoccupare, lascia fare”, gli

rispose sottovoce. “Si devono cuocere nel loro brodo”.

“Cosa, maresciallo?”. “Si devono cuocere… lascia perdere…

Falli aspettare!”. Ancora il clamore della porta che,

sbattendo, aveva fatto cadere un quadretto con una carica di

carabinieri a cavallo, prontamente raccolto e messo al suo

posto dall’appuntato.

L’orologio a pendolo dei frati cistercensi rintoccava

un’ora dopo le nove. L’odore della cravatta, pulita ed inamidata,

che consegnava al maresciallo la memoria di felici

ricordi dell’ultimo incontro a palazzo Almiranti, ebbe il

potere di distrarlo, momentaneamente, dal suo gravoso

compito.

Il rumore delle sedie ed i convenevoli tra persone giù

da basso, diedero la conferma dell’arrivo del conte che, nel

rispetto della puntualità, aveva spaccato l’ora dell’orologio.

Ancora una volta dalle scale si era sentita la voce dell’appuntato:

“Siamo al completo, posso farli salire?”. “Sì, adesso sì”.

“Signori, il maresciallo vi attende nel suo ufficio!”, si sentì la

voce dell’appuntato, inaspettatamente perentoria, dal basso. Il

primo a far gioco nel movimento delle scale fu il conte, tallonato

dal dottor Diotallevi che si frapponeva, a protezione, tra

il signore e quella strana processione; dietro, gomito a gomito,

il sindaco Montini ed il notaio Ricarolis, che continuavano

la conversazione personale, di cui non abbiamo notizia; ed

infine, a degno corollario, don Alfio con, sotto il pastrano, la

camicia da lavoro che ne infagottava la figura; in coda, l’appuntato

Riccoboni con il suo passo dinoccolato che slittava, a

due a due, sugli scalini - e che portava le sedie mancanti per

far mettere seduti gli ospiti - chissà perché, per lui, sempre

sdrucciolevoli. Il maresciallo, che si faceva ammirare in piedi

davanti alla scrivania con le braccia incrociate dietro la schiena,

seguiva il comporsi della scena.

La legna umida, che scoppiettava nel camino, dava

quel tocco di piacevolezza alle fredde mura dell’ufficio.

Le nuvole ad oriente avevano completato il percorso

sopra il paese di Montebello. La piazza, era il giorno del

mercato, si animava delle bancarelle e delle grida degli strilloni

da banco che reclamizzavano il loro commercio. Nel

frattempo, il maresciallo sempre in piedi, aveva cercato di

regolare i movimenti. “Conte, prego sulla destra. Sì, sotto la

finestra… Avrà più luce!... Dottor Diotallevi, qui accanto al

conte… Prego, dottor Montini… Sì, vicino al camino, si

sentirà al caldo… Notaio, grazie… e lei, don Alfio… Sì, lì

può andare bene!... Grazie…”. Gli ospiti avevano seguito,

senza proferir parola, quella buffa attribuzione di sedie.

Riccoboni, che si era sistemato in un angolo della stanza

dove si trovavano un banchetto ed una sedia - minuscole per

le sue proporzioni - controllava che tutto fosse al suo posto.

Sopra quel ridicolo perimetro, un calamaio, una penna e fogli

bianchi immacolati facevano bella mostra davanti all’adunanza

pronta a formalizzare le dichiarazioni. Troppo lontano

da Montebello si trovavano le moderne facilonerie del

Comando provinciale; ogni luogo si doveva arrangiare con

quello che aveva, e questo possedeva il Comando di

Montebello. “Signori, innanzi tutto, vorrei scusarmi”, aveva

iniziato a parlare il maresciallo, “per l’ora insolita e capisco

che ognuno di voi ha dei doveri da compiere nella nostra

comunità, ma…”. Quel discorsetto recitato a braccio, che

poteva sembrare un inutile panegirico, lo aveva preparato da

giorni ed era un tentativo per distendere gli animi, che, da

subito, erano parsi, logicamente, contrariati. Non si trovavano

alla presenza di un pubblico ufficiale? E per giunta, un

maresciallo dei carabinieri? A chi non avrebbe pulsato il sangue

nelle vene, anche se innocente? Un brusio da commento

si era librato nell’aria. E poi la voce, pungente, del notaio

aveva catturato l’attenzione. “Mi auguro, maresciallo, che

avrà le sue buone ragioni…”. “Me lo auguro anch’io! Il conte

stamane attendeva degli ospiti, una delegazione della araldica

ufficiale, per discutere, ascolti bene, le linee di discendenza

del casato. S’immagini l’importanza!”. Era il portavoce

della nobiltà, adesso, a dispensare pillole di saggezza. “E le

elezioni? Vogliamo trascurare un capitolo importante della

società. Stiamo preparando il palco per il discorso d’apertura

della campagna elettorale del senatore Tagliaferri. Viene ad

esporre il pensiero del governo di Roma”. A parlare era quell’ipocrita

del sindaco Montini che, con le gambe incrociate,

s’ingegnava a gettare benzina sul fuoco; ma con il maresciallo

Leonardi si correva il rischio di rimanerne scottati. “E lei,

don Alfio, non ha nessuna rimostranza…”, chiese ironicamente,

il titolare dell’inchiesta per stemperare il risentimento

che stava covando nell’ufficio, “…da far valere? Dato che

tutti si sono lamentati non vorrei che a lei tutto questo

andasse bene”. “No, nessuna, ma spero che per l’ora di pranzo

sia tutto finito. Oggi è la giornata del mercato…”, rispose,

guardandosi intorno come se avesse bisogno di conferme;

era uno sguardo pieno di dubbi. “E giustamente gli affari

sono affari, non è vero, don Alfio? Adesso”, le problematiche

di don Alfio le aveva rivolte ai presenti, “non vi preoccupate;

vedrete che finiremo molto presto, ma per questo è necessaria

la vostra collaborazione…”. Poteva interpretarsi come

una minaccia? Possedeva il nome del colpevole e sapeva

come smascherarlo? Oppure il suo era, in realtà come doveva

essere, un invito a esprimere serenamente la versione dei

fatti? Il mondo si può rappresentare dai più diversi punti di

vista, anche se, apparentemente, alla maggior parte delle persone

sembra uguale.

“Iniziamo… vediamo… Sì, da lei, don Alfio… Dunque…

Scusate, signori!”, aveva interrotto il fastidioso mormorio di

sottofondo. “Sei pronto, Riccoboni?”. “Sì, maresciallo!”.

Teneva la penna, il povero appuntato, come uno scolaro

della prima classe intento a scrivere un dettato. Il

Comando provinciale, ed era una vergogna, non aveva ancora

inviato una decente macchina per scrivere su cui esercitarsi;

ma comunque non era un valido motivo per poter fermare

il corso di una indagine. “Dunque, don Alfio, erano le

nove di sera quando ha scoperto il cadavere del compagno

Olmo?”. Era riuscito, finalmente dopo ripetute interruzioni,

ad arrivare alla domanda cruciale che voleva fare. Il conte,

dalla posizione privilegiata in cui si trovava, sembrava disinteressarsi

alla conversazione ed indugiare, distratto, con lo

sguardo fuori sulla piazza che, nonostante il gelo di quel

giorno, era stracolma di paesani. Il dottor Diotallevi, al contrario,

si mostrava risentito con quell’atteggiamento sulla

difensiva che, ormai, era diventato una espressione del viso

tanto ne aveva abusato e che doveva dar fastidio al nobile

stesso. Il dottor Montini ed il notaio Ricarolis, uno accanto

all’altro, sembravano prendersi gioco dell’appuntato che,

sottovoce, era intento a ripetere ciò che scriveva.

Don Alfio, così corpulento, sudava al calore del camino

che bruciava nella fiamma viva di un grande ciocco e

forse non solo per quello. “Sì…. Erano le nove di sera, maresciallo”,

rispose timidamente. “Perché ne è tanto sicuro, don

Alfio?”. La risposta del proprietario dello spaccio, che era

nell’aria, trasmise l’idea che il suo pensiero fosse costruito a

priori. D’altra parte era la domanda che il maresciallo doveva

inevitabilmente fare proprio a lui che era stato lo scopritore

del cadavere del compagno Olmo. “C’era stata poca

gente quella sera allo spaccio. Abbiamo chiuso molto presto…

Lo può testimoniare la signora Maria che mi ha aiutato

a fare la chiusura prima di andare a casa e, siccome avevo

tempo, ne ho approfittato per andare, prima del solito, al

frantoio… Avevo un appuntamento per il giorno dopo, ma il

destino ha voluto che io quella sera non lavorassi…”. Il

ricordo dello spaccio, senza la signora Maria che serviva tra

i tavoli, tornò prepotentemente e con esso i dubbi sulla versione

che aveva dato don Alfio. “E poi, don Alfio, si è avviato

al frantoio di buon passo?”, riprese il maresciallo Leonardi,

dando per assodata la versione che aveva dato

Continua…

Nessun commento: