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domenica 1 maggio 2011

Le Nebbie del Passato

Oggi vi propongo un libro di uno scrittore esordiente, Andrea Marchetti, originario dei Castelli Romani “Le Nebbie del Passato”, ne ho letto una parte e mi sembra molto carino, per cui ho deciso di pubblicarne un capitolo per farlo leggere anche a voi, e magari mi dite che ne pensate.

Recensione

copertina le nebbie del passatoIl titolo è esemplificativo della storia narrata, degli ambienti descritti e dei personaggi che caratterizzeranno questo libro ricco di suspance e di magia. Il filo rosso che lega la tram raccontata dall’autore è costituito dalla figura del protagonista, il Maresciallo Leonardi, “un figlio del popolo” come ama definirlo Marchetti, che trascorrerà la sua esistenza a fare i conti con un passato imbarazzante. Il passato di quella Seconda Guerra Mondiale che aveva distrutto gli ideali di almeno una generazione, che si riflette nel successivo dopoguerra, in quelle ferite morali e materiali che il Maresciallo Leonardi vede ancora aperte nella fase di ricostruzione che vive.

Trama

La vicenda si svolge tra le pietre di un paese antico, Montebello, un piccolo spazio fisico che, come i tanti piccoli paesi e borghi italiani somigliano al Paradiso Terrestre, collegato ai grandi centri e alla civiltà da un’unica strada provinciale. L’apparenza di un mondo tranquillo e la ritrovata vivacità di una comunità uscita distrutta dalla guerra, come avvenuto per tutta l’Italia, viene però squarciata dalle inquietudini del Maresciallo Leonardi, per un passato che non comprende e che sempre con più forza ruberà la sua anima per tutta la vita.

Sente, infatti, che oltre a questa apparente serenità, le nebbie che calano spesso sul paese simboleggiano quelle di un passato ancora tutto da indagare ed esplorare. Il rincorrersi delle giornate del Maresciallo Leonardi per fare luce sulle verità che la sua coscienza aspetta da tempo, scandiscono in un costante crescendo la sua ansia e la sua brama di arrivare alla conoscenza.

“Le Nebbie del Passato” è un noir, che indaga attraverso il suo protagonista sul ‘senso del peccato’, quasi a dare un significato profondo al ‘senso della vita’, all’andare oltre le apparenza del quotidiano, per scardinare pregiudizi e arrivare a capire, attraverso l’introspezione, che in fondo, molto spesso, dietro le storie degli uomini si celano arcani misteri che nessuno ha il coraggio di sfidare.

Capitolo 19
La trappola  - prima parte

“Correre, maresciallo…. Ja, schell… raus!... raus…

correre nell’acqua! Ja, tu morire!”. “Non ora!... Non adesso!...

Devo vivere!... Non voglio morire!”.

Parlava nel sonno, il maresciallo Leonardi, rispondendo

all’incubo che stava subendo. “No, tu morire invece…

Morire nell’acqua!... Morire... Morire con noi… ja,

achtung!... Achtung!”. Le immagini che gli dovevano passare

davanti dovevano essere spaventose e ne era una testimonianza

il modo drammatico con cui rispondeva, sovraeccitato,

nel sonno. “Mia madre… Devo … Devo correre da

mia madre!”. “Tu morire… … Tu morire”, faceva nell’incubo

il soldato in divisa militare della Wehrmacht che aveva

davanti. “Non voglio morire!... morire… aiut… Aiuto!”.

S’era svegliato, nella atmosfera gelata della camera da letto,

in un bagno di sudore; gli occhi erano cerchiati di nero pesto,

mentre la bocca aveva l’arsura che solo gli stati febbrili possono

lasciare. Il primo movimento che aveva fatto era stato

quello di allungare una mano, nel buio della stanza, per bere

dal bicchiere della notte, che si trovava vicino alla sveglia sul

comodino. Sentiva il calore delle febbri alte su tutto il corpo

e un groppo alla gola che, fastidioso, gli impediva di deglutire

regolarmente; ma soprattutto sentiva che era nella morte

di quei poveri soldati, che doveva essere stata cruenta, di

questo ne era certo, l’origine di tutti i suoi mali.

I rintocchi dell’orologio a pendolo dei frati benedettini

annunciavano che era trascorsa un’ora dopo le tre della

notte. Cercò disperatamente di riprender sonno nel caos di

patimenti fisici ed emotivi, che lo attanagliavano grandemente,

ma fu soltanto un agitar di lenzuola che lo tenne

impegnato fino al nuovo giorno.

Il freddo del mattino, l’addensarsi delle nuvole che

provenivano da oriente, minacciando sorprese e l’aver dormito

poco e male la notte erano segnali da malumore crescente.

Il trafficare dei mestieri, che avevano ripreso il loro

scandire giornaliero, dopo il giorno dei funerali di Nino

Botti, dava quel senso di ritualità al giorno. E quel procedere

stanco e svogliato che muoveva, nelle prime ore del mattino,

il graduato verso il Comando, ne suggerivano, agli abitanti

che lo incontravano, atmosfere familiari.

“Buongiorno, Riccoboni”, fece il maresciallo all’appuntato

che stava assorto nella lettura del giornale, il Gazzettino

Provinciale e che mostrava titoli sensazionali a nove colonne.

“Cosa è successo?, gli chiese curioso. “Deve essere certamente

qualcosa di importante dall’attenzione con cui leggi

e dal brusio di voci che ho avvertito qui davanti”.

L’appuntato gli rispose da sotto il quotidiano: “Parlano

di noi, Be’, di lei. È un articolo di quel Senzaluc…”. Ricominciava

il gioco del gatto con il topo. Chi era il gatto?

Il maresciallo Leonardi? Ma si era proprio sicuri di questo?

“Senzaluce, il giornalista che ci è venuto a trovare… Dammi

il giornale!”, lo chiese in modo categorico. “Ma avevo quasi

finito”, gli rispose sconsolato l’appuntato. “Te lo ridò tra un

attimo. Sono curioso di sapere cosa…”. Prese il giornale con

lo stesso impeto di un bambino che strappa il fazzoletto nel

gioco del ruba bandiera. Mentre leggeva, interessato, l’articolo

del giornalista che occupava l’intera prima pagina, gli

chiese: “Ci sono novità?”. “No, non mi pare”, gli rispose.

Ma non era convinto e lo si poteva supporre dall’espressione

non troppo decisa che aveva avuto.

Dopo aver riflettuto per qualche secondo riprese a parlare:

“Mannaggia… mi scusi ancora, maresciallo, ma mi sono

proprio dimenticato; se seguissi i consigli di mia moglie,

dovrei…”. Era la scenetta che aveva luogo, quasi, ogni giorno

al Comando. “La tua consorte ha la mia solidarietà!... Ma

vorrei conoscere la ragione della tua afflizione, se non ti

dispiace”. L’appuntato vedeva trasparire l’ansia dal suo

sguardo. “Bé, quella signora… La stessa dell’altro giorno…”.

Siamo sicuri che era proprio ansia? “Assunta… Assunta

Almiranti...”, fece con un filo di voce. “Sì, proprio lei mi ha

portato questo pacco e si è scusata per l’altro giorno e poi ha

proseguito dicendo… Aspetti, ecco…”. Teneva le mani sulla

testa per concentrarsi.

“Ecco cosa, Riccoboni?... Cosa?... è possibile che non ricordi

mai niente! Dovremo farti delle iniezioni di fosforo?”.

Era stanco di quel continuo mordi e fuggi che si prospettava

ogni qual volta che qualcuno si presentava al Comando.

Ma per fortuna la luce della ragione dava spazio alla parola.

“Ecco, mi sembra di ricordare che gli manda i saluti una

certa Donna…”. Ormai era al limite della sopportazione,

che poteva essere un punto oltre il quale non ci sarebbe più

stato il ritorno. “Maria… Donna Maria..”. “Sì, proprio lei!”.

Era uno sforzo di memoria il suo, che delle volte rasentava

il ridicolo.

Chiuso nel suo ufficio, il maresciallo, aveva iniziato a

leggere il giornale a voce bassa. “I due morti impiccati di

Montebello, non hanno ancora un colpevole”; l’articolo, a

carattere maiuscolo, iniziava con il seguente rigo di stampa.

“Il maresciallo Leonardi”, proseguiva nella lettura della

pagina ad alta voce, “titolare dell’inchiesta, non ha dato

risposte soddisfacenti alla comunità che, giustamente, ha

sete di verità. I suoi metodi hanno il sapore del vecchio

mestiere dell’investigazione e risultano del tutto inadeguati

alla complessità delle azione criminale che ha investito il

paese di Montebello. Noi tutti, a questo punto, invochiamo

una svolta da parte delle autorità competenti: che abbiamo il

coraggio di dare il ben servito a chi di dovere!”. La firma in

fondo alla pagina era quella di Matteo Senzaluce. Un

bel servizietto, pensò il maresciallo, mentre, rancoroso,

aveva gettato il giornale tra le fiamme accese del camino,

dimenticandosi che era il giornale dell’appuntato Riccoboni.

“Maresciallo”, l’appuntato l’aveva richiamato dalle scale.

“Sì, Riccoboni?”. “È arrivato don Alfio dello spaccio!”. “Sì,

fallo attendere”, gli rispose. Fortunatamente si era dimenticato

di chiedere la copia del giornale bruciato. Don Alfio era

giunto in anticipo, erano passate da mezz’ora le nove.

“Riccoboni, mi raccomando, devono salire tutti insieme”,

aveva puntualizzato il suo superiore.

Continua…

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