Oggi vi propongo un libro di uno scrittore esordiente, Andrea Marchetti, originario dei Castelli Romani “Le Nebbie del Passato”, ne ho letto una parte e mi sembra molto carino, per cui ho deciso di pubblicarne un capitolo per farlo leggere anche a voi, e magari mi dite che ne pensate.
Recensione
Il titolo è esemplificativo della storia narrata, degli ambienti descritti e dei personaggi che caratterizzeranno questo libro ricco di suspance e di magia. Il filo rosso che lega la tram raccontata dall’autore è costituito dalla figura del protagonista, il Maresciallo Leonardi, “un figlio del popolo” come ama definirlo Marchetti, che trascorrerà la sua esistenza a fare i conti con un passato imbarazzante. Il passato di quella Seconda Guerra Mondiale che aveva distrutto gli ideali di almeno una generazione, che si riflette nel successivo dopoguerra, in quelle ferite morali e materiali che il Maresciallo Leonardi vede ancora aperte nella fase di ricostruzione che vive.
Trama
La vicenda si svolge tra le pietre di un paese antico, Montebello, un piccolo spazio fisico che, come i tanti piccoli paesi e borghi italiani somigliano al Paradiso Terrestre, collegato ai grandi centri e alla civiltà da un’unica strada provinciale. L’apparenza di un mondo tranquillo e la ritrovata vivacità di una comunità uscita distrutta dalla guerra, come avvenuto per tutta l’Italia, viene però squarciata dalle inquietudini del Maresciallo Leonardi, per un passato che non comprende e che sempre con più forza ruberà la sua anima per tutta la vita.
Sente, infatti, che oltre a questa apparente serenità, le nebbie che calano spesso sul paese simboleggiano quelle di un passato ancora tutto da indagare ed esplorare. Il rincorrersi delle giornate del Maresciallo Leonardi per fare luce sulle verità che la sua coscienza aspetta da tempo, scandiscono in un costante crescendo la sua ansia e la sua brama di arrivare alla conoscenza.
“Le Nebbie del Passato” è un noir, che indaga attraverso il suo protagonista sul ‘senso del peccato’, quasi a dare un significato profondo al ‘senso della vita’, all’andare oltre le apparenza del quotidiano, per scardinare pregiudizi e arrivare a capire, attraverso l’introspezione, che in fondo, molto spesso, dietro le storie degli uomini si celano arcani misteri che nessuno ha il coraggio di sfidare.
Capitolo 19
La trappola - prima parte
“Correre, maresciallo…. Ja, schell… raus!... raus…
correre nell’acqua! Ja, tu morire!”. “Non ora!... Non adesso!...
Devo vivere!... Non voglio morire!”.
Parlava nel sonno, il maresciallo Leonardi, rispondendo
all’incubo che stava subendo. “No, tu morire invece…
Morire nell’acqua!... Morire... Morire con noi… ja,
achtung!... Achtung!”. Le immagini che gli dovevano passare
davanti dovevano essere spaventose e ne era una testimonianza
il modo drammatico con cui rispondeva, sovraeccitato,
nel sonno. “Mia madre… Devo … Devo correre da
mia madre!”. “Tu morire… … Tu morire”, faceva nell’incubo
il soldato in divisa militare della Wehrmacht che aveva
davanti. “Non voglio morire!... morire… aiut… Aiuto!”.
S’era svegliato, nella atmosfera gelata della camera da letto,
in un bagno di sudore; gli occhi erano cerchiati di nero pesto,
mentre la bocca aveva l’arsura che solo gli stati febbrili possono
lasciare. Il primo movimento che aveva fatto era stato
quello di allungare una mano, nel buio della stanza, per bere
dal bicchiere della notte, che si trovava vicino alla sveglia sul
comodino. Sentiva il calore delle febbri alte su tutto il corpo
e un groppo alla gola che, fastidioso, gli impediva di deglutire
regolarmente; ma soprattutto sentiva che era nella morte
di quei poveri soldati, che doveva essere stata cruenta, di
questo ne era certo, l’origine di tutti i suoi mali.
I rintocchi dell’orologio a pendolo dei frati benedettini
annunciavano che era trascorsa un’ora dopo le tre della
notte. Cercò disperatamente di riprender sonno nel caos di
patimenti fisici ed emotivi, che lo attanagliavano grandemente,
ma fu soltanto un agitar di lenzuola che lo tenne
impegnato fino al nuovo giorno.
Il freddo del mattino, l’addensarsi delle nuvole che
provenivano da oriente, minacciando sorprese e l’aver dormito
poco e male la notte erano segnali da malumore crescente.
Il trafficare dei mestieri, che avevano ripreso il loro
scandire giornaliero, dopo il giorno dei funerali di Nino
Botti, dava quel senso di ritualità al giorno. E quel procedere
stanco e svogliato che muoveva, nelle prime ore del mattino,
il graduato verso il Comando, ne suggerivano, agli abitanti
che lo incontravano, atmosfere familiari.
“Buongiorno, Riccoboni”, fece il maresciallo all’appuntato
che stava assorto nella lettura del giornale, il Gazzettino
Provinciale e che mostrava titoli sensazionali a nove colonne.
“Cosa è successo?, gli chiese curioso. “Deve essere certamente
qualcosa di importante dall’attenzione con cui leggi
e dal brusio di voci che ho avvertito qui davanti”.
L’appuntato gli rispose da sotto il quotidiano: “Parlano
di noi, Be’, di lei. È un articolo di quel Senzaluc…”. Ricominciava
il gioco del gatto con il topo. Chi era il gatto?
Il maresciallo Leonardi? Ma si era proprio sicuri di questo?
“Senzaluce, il giornalista che ci è venuto a trovare… Dammi
il giornale!”, lo chiese in modo categorico. “Ma avevo quasi
finito”, gli rispose sconsolato l’appuntato. “Te lo ridò tra un
attimo. Sono curioso di sapere cosa…”. Prese il giornale con
lo stesso impeto di un bambino che strappa il fazzoletto nel
gioco del ruba bandiera. Mentre leggeva, interessato, l’articolo
del giornalista che occupava l’intera prima pagina, gli
chiese: “Ci sono novità?”. “No, non mi pare”, gli rispose.
Ma non era convinto e lo si poteva supporre dall’espressione
non troppo decisa che aveva avuto.
Dopo aver riflettuto per qualche secondo riprese a parlare:
“Mannaggia… mi scusi ancora, maresciallo, ma mi sono
proprio dimenticato; se seguissi i consigli di mia moglie,
dovrei…”. Era la scenetta che aveva luogo, quasi, ogni giorno
al Comando. “La tua consorte ha la mia solidarietà!... Ma
vorrei conoscere la ragione della tua afflizione, se non ti
dispiace”. L’appuntato vedeva trasparire l’ansia dal suo
sguardo. “Bé, quella signora… La stessa dell’altro giorno…”.
Siamo sicuri che era proprio ansia? “Assunta… Assunta
Almiranti...”, fece con un filo di voce. “Sì, proprio lei mi ha
portato questo pacco e si è scusata per l’altro giorno e poi ha
proseguito dicendo… Aspetti, ecco…”. Teneva le mani sulla
testa per concentrarsi.
“Ecco cosa, Riccoboni?... Cosa?... è possibile che non ricordi
mai niente! Dovremo farti delle iniezioni di fosforo?”.
Era stanco di quel continuo mordi e fuggi che si prospettava
ogni qual volta che qualcuno si presentava al Comando.
Ma per fortuna la luce della ragione dava spazio alla parola.
“Ecco, mi sembra di ricordare che gli manda i saluti una
certa Donna…”. Ormai era al limite della sopportazione,
che poteva essere un punto oltre il quale non ci sarebbe più
stato il ritorno. “Maria… Donna Maria..”. “Sì, proprio lei!”.
Era uno sforzo di memoria il suo, che delle volte rasentava
il ridicolo.
Chiuso nel suo ufficio, il maresciallo, aveva iniziato a
leggere il giornale a voce bassa. “I due morti impiccati di
Montebello, non hanno ancora un colpevole”; l’articolo, a
carattere maiuscolo, iniziava con il seguente rigo di stampa.
“Il maresciallo Leonardi”, proseguiva nella lettura della
pagina ad alta voce, “titolare dell’inchiesta, non ha dato
risposte soddisfacenti alla comunità che, giustamente, ha
sete di verità. I suoi metodi hanno il sapore del vecchio
mestiere dell’investigazione e risultano del tutto inadeguati
alla complessità delle azione criminale che ha investito il
paese di Montebello. Noi tutti, a questo punto, invochiamo
una svolta da parte delle autorità competenti: che abbiamo il
coraggio di dare il ben servito a chi di dovere!”. La firma in
fondo alla pagina era quella di Matteo Senzaluce. Un
bel servizietto, pensò il maresciallo, mentre, rancoroso,
aveva gettato il giornale tra le fiamme accese del camino,
dimenticandosi che era il giornale dell’appuntato Riccoboni.
“Maresciallo”, l’appuntato l’aveva richiamato dalle scale.
“Sì, Riccoboni?”. “È arrivato don Alfio dello spaccio!”. “Sì,
fallo attendere”, gli rispose. Fortunatamente si era dimenticato
di chiedere la copia del giornale bruciato. Don Alfio era
giunto in anticipo, erano passate da mezz’ora le nove.
“Riccoboni, mi raccomando, devono salire tutti insieme”,
aveva puntualizzato il suo superiore.
Continua…
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