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sabato 7 maggio 2011

Le Nebbie del Passato – quarta parte

Quarta ed ultima parte del 19 capitolo de “le Nebbie del Passato”, spero tanto che vi sia piaciuto come è piaciuto a me.

Andrea

Scusate l’ardita similitudine, ma adesso vorrei, sempre se è

lecito… Vede come sono disponibile verso voi tutti, anche

se il ruolo che occupo mi consiglierebbe un altro tipo d’interrogatorio…

Dicevo… ah, si… vorrei ascoltare la sua versione

dei fatti o, come preferisce, conoscere il suo alibi per

quella sera”. Si era nuovamente rivolto all’appuntato, un

uomo che aveva bisogno di continue premure. “Riccoboni,

ci sei? Mi raccomando! Adesso puoi trascrivere la deposizione

del dottor Montini”. Il politico, superato il timore che

si prova prima di parlare in circostanze in cui non ci sentiamo

a nostro agio, tentava, nel limite del possibile, di mantenersi

distaccato, ma era un fatica che gli sarebbe costata cara

a lungo andare. “Era una giornata fredda e nebbiosa, siamo

partiti…”, aveva preso a raccontare. “Chi eravate, dottor

Montini”, lo interruppe bruscamente il militare. “Stavo insieme

al notaio Ricarolis…”. L’illustre notabile lo guardava

infastidito, mentre il sindaco continuava a parlare noncurante:

“ Ed al conte Alfredo con i suoi servitori degli alloggi e i

battitori di caccia…”. Non era il racconto ascoltato la sera

della festa al castello? Ma, adesso, si aggiungeva il valore

della parola scritta: verba volant scripta manent.

“Mi scusi, un attimo”, lo interruppe nuovamente, “dottor

Montini! Conferma, notaio Ricarolis? Se ha qualcosa d’aggiungere,

saremo ben lieti d’ascoltarla…”. Il notaio, nella

postura che aveva assunto la sua seduta, non sembrava turbato

per la piega che stava prendendo quel mal celato interrogatorio.

“Sì, eravamo insieme, ma non capisco?”. “Tutto a

suo tempo, tutto a suo tempo, notaio Ricarolis”, lo incalzò il

militare. E poi, rivolto al nobile: “E lei, conte Alfredo, si trovava

con i nostri illustri ospiti?”. Il dottor Diotallevi, colto

nel vivo, dai nervi gli rispose: “Perché si ostina ad interrogare

il conte? Cosa spera di ricavare? Il conte era impegnato…”.

Ma il maresciallo ancor più risoluto del sovrintendente,

sovrastandolo nel tono della voce, aveva riproposto la

domanda al nobile: “C’era anche lei, signor conte?”. Il titolato

si era ripreso da un temporaneo assopimento: “Oh… oh…

mi scusi…”, si massaggiò le tempie, cercando di rianimarsi.

“Oh, maresciallo, la testa… I pensieri mi conducono altrove…”.

Che noia doveva essere per il signore di Montebello

quel pedante ripetere la versione dei fatti! Il graduato fu colpito

dai modi, a dir poco singolari, del nobile, d’altra parte

non poteva essere altrimenti - per il maresciallo Leonardi

era come l’attrazione che da bambino si prova per l’esotico,

per il misterioso o l’imponderabile – e fu anche la ragione

per la quale si era rivolto in maniera indulgente verso di lui.

“Vorrei sapere di quel giorno in cui è stato trovato impiccato

il compagno Olmo. Cosa è successo, conte Alfredo, se ha

un ricordo in particolare?”. “Per così poco, maresciallo?”,

prese la parola il nobile. Il dottor Diotallevi, sconfitto, si era

fatto da parte. “Una battuta di caccia non tanto fortunata…”.

“Perché, signor conte?”. “I nostri segugi, cani allevati nell’arte

venatoria, quel giorno si comportavamo come se

temessero a dare del loro meglio e quando la giornata non

nasce nel miglior auspicio, noi cacciatori, che crediamo

nella superstizione, cerchiamo di non forzare il corso degli

eventi. Disposti ad accettare ciò che Dio e il suo meraviglioso

involucro, che è la terra, ci hanno donato”. Era il modo

di vedere le cose dall’alto della tradizione immutabile dei

secoli. “In parole povere…”, ma che parole blasfeme usava

il maresciallo? “Non avete cacciato quel giorno?”. “Se si

esprime in questi termini, direi proprio di no, maresciallo e

può capitare…”. “Conte Alfredo, scusi se la importuno

ancora una volta, vorrei…”. Il titolato si era messo a contemplare

la volta celeste, attraverso la piccola finestra con

balconcino che si trovava al primo piano del Comando.

“Guardi in lontananza lo stormo d’uccelli”, il nobile aveva

continuato a parlare seguendo il corso dei suoi pensieri,

”non le sembra meraviglioso l’universo? Potrei trascorrere

ore nella sua visione…”. Erano segnali della fine dell’inverno,

anche se appena iniziato? Oppure il frutto dell’immaginazione

del nobile? Il maresciallo, continuando con quelle

stupide manie investigative, aveva sorvolato le fantasticherie

del nobile per non mettere in imbarazzo nessuno dei presenti.

“Quando vi siete ritirati, conte Alfredo, nel casino di

caccia su al Montescuro?”. Il conte sembrava riflettere lontano

dalle noie terrene e poi con quel distacco ascetico che

hanno i monaci di un ordine di clausura, si era espresso:

“Probabilmente alle prime ombre della sera. Non so, le quattro

o le cinque…”. “Si ricorda se, il dottor Montini ed il notaio

Ricarolis, erano con lei?”. Ci fu un attimo, che era sembrato

interminabile, di silenzio. “Sinceramente non ricordo…”,

rispose dubbioso. “Forse sono arrivati dopo una mezz’ora,

un’ora al massimo credo…”. Che importanza potevano

avere per lui questo ripetere fatti avvenuti? Il conte si era

adagiato sulla sedia in una posizione più consona al suo

lignaggio, mentre, stancamente e rassegnato, aveva subito

l’inevitabile intervento del dottor Diotallevi, che, vicino a lui,

aveva ripreso ad agitarsi freneticamente. “Maresciallo, non

le sembra di aver calcato un po’ troppo la mano? D’aver

abusato della pazienza del conte di Montebello?”. “No,

Giulio”, era intervenuto il nobile poggiando una mano sulla

spalla del sovrintendente. “Il maresciallo fa soltanto il suo

dovere”.

Il conte portava una elegante giacca di velluto chiaro,

mentre il soprabito, sempre chiaro, lo teneva fra le mani il

dottor Diotallevi. “Grazie, signor conte!”, disse il maresciallo.

Da parte sua c’era ammirazione per il nobile, per

quel modo che aveva di porsi davanti agli eventi. “E lei,

notaio Ricarolis? Pensavo che partecipasse di più; la trovo

alquanto, e non è la prima volta, silenzioso. Vorrei che rilasciasse

la sua versione dei fatti, sempre a proposito di quel

giorno”. Era rigida compostezza, quella che sembrava

ostentare il notaio Ricarolis? O, piuttosto, il dominio delle

umane passioni? Nel frattempo, però, la parola che usciva

dalla sua bocca non trovava ostacoli al suo cammino. “Una

brutta giornata, nebbia dappertutto e poche tracce di animali

di passaggio nel bosco e per noi cacciatori è un brutto

segno”. Il notabile ripeteva il compitino a memoria già

ascoltato dal nobile di Montebello. “Che vuol dire, notaio

Ricarolis?”. Anche se già conosceva la risposta, lo voleva

tenere sulle spine, perché troppo odiosa era la sua supponenza

delle cose. “È talmente lampante che mi meraviglio di lei,

maresciallo!”, aveva risposto, il notaio, deridendolo. “Beato lei

che si meraviglia ancora di qualcosa… è da parecchio che

non mi meraviglio più di nulla… Comunque se ha la cortesia

di spiegarci, da parte mia ho la pazienza d’ascoltarla”. Il

maresciallo lo guardava sfidandolo. “Poche tracce, niente

selvaggina”, anche il suo sguardo era fisso verso il militare.

Rimasero così per alcuni secondi che ai presenti sembrarono

lunghissimi. Alla fine, per uscire dal vicolo cieco in cui

si era cacciato e che era certo che non lo avrebbe portato a

nulla, lo salvò l’ironia che possedeva innata: “E lei, dottor

Ricarolis così abile con il fucile, con quella bruma grigia,

doveva essere noioso girare a vuoto… Senza una meta per il

bosco… Forse, se vuole, potrei ricostruire quello che avrebbe

potuto fare con il tempo a disposizione. Mi ascolti, se

vuole…”. “Volentieri”, gli rispose in tono spocchioso.

Attese ancora qualche attimo prima di iniziare a parlare,

il tempo per accorgersi che tutti lo stavano guardando

interessati. “Si sarebbe potuto allontanare e, in una buona

mezz’ora di buon passo, raggiungere la Grande Quercia e

qui, dopo aver dato un appuntamento al compagno Olmo,

compiere quello che tutti sappiamo e ritornare, giusto in

tempo, per ritirarsi nel casino di caccia del conte e crearsi un

alibi attendibile…”. Il notaio si manteneva freddo, lucido

come al suo solito, nel suo gessato color fumo di Londra,

nonostante la gravità delle accuse che gli erano state fatte.

“Le sue sono soltanto insinuazioni”, non una parola di quello

che diceva era fuori posto, “frasi senza un senso, buttate

a caso… Conosco un certo modo investigativo, quando non

arrivano determinati risultati, che cerca di formulare ipotesi

di colpevolezza senza possedere le prove… perché lei non

ha nemmeno uno straccio di prova”. Il graduato, per nulla

colpito dalla realtà delle parole - era vero che non aveva

niente tra le mani e che doveva arrampicarsi sulla parete

liscia di una montagna – aveva proseguito l’interrogatorio in

corso, coinvolgendo, nuovamente, il sindaco di Montebello.

“Anche lei, dottor Montini, avrebbe potuto compiere l’azione

delittuosa poco fa esposta per il notaio Ricarolis e ritornare

per la sera al casino di caccia. Come abbiamo appreso

dal conte, potevate entrambi allontanarvi dalla zona in cui

eravate e tornare in paese… E poi, lei in particolare doveva

preparare il programma elettorale… non è vero, dottor Montini?”.

Differentemente dal suo compare, il notaio Ricarolis, il sindaco

Montini viveva quei momenti cercando di nascondere

gli attacchi di panico, che gli facevano tremare la postura

del corpo, mentre seduto, poco cavallerescamente lungo

disteso sulla sedia, rispondeva al militare.” Se la sentissero

gli abitanti di Montebello”, cercava con gli occhi il conforto

dei presenti. “Ma le sembra che io possa sacrificare tanti

anni della mia vita politica per compiere un delitto. Sarei un

folle se facessi questo!”. “Be’, dottor Montini, se vogliamo

essere un po’ maligni, in fondo il compagno Olmo era o non

era un suo avversario politico? Un consigliere comunale

dell’opposizione. Chissà quanti bastoni tra le ruote ha dovuto

sopportare. Non era la memoria storica del paese, come mi

ha riferito don Alfio allo spaccio?”.

Tutti, tranne il conte - perso nelle sue riflessioni – si

erano rivolti a don Alfio come per chiedergli ragione delle

parole del graduato. “Ed invece in questo modo”, proseguì

il maresciallo, “mi perdoni ancora, con quello che avrebbe

potuto fare, come si dice spesso ha salvato capra e cavoli”.

“Lei dimentica”, gli rispose risentito. “La storia del mio partito.

La nostra tradizione democratico-cristiana ed i suoi

valori di tolleranza e di libertà che mal s’accordano con

l’eliminazione fisica degli avversari politici, cara ad un

certo periodo storico”. Il riferimento del sindaco al fascismo

era del tutto evidente.

L’indagatore sembrava non preoccuparsi della manfrina

del primo cittadino, che aveva il sapore di un proclama

da campagna elettorale, ed aveva cambiato il suo raggio

d’azione. “Per lei, notaio Ricarolis, il movente può essere

più complesso. Forse incomprensioni personali, malumori

del passato mai sanati ed esplosi improvvisamente… Io

parlo in questo modo, ma non vorrei passare per un uomo

che possa giustificare un atto contro natura, qual è un omicidio…”.

“Le ripeto, le sue sono soltanto congetture”, gli

rispose, il notaio, odiosamente. “Che non hanno nulla a che

vedere con la realtà che stiamo vivendo”. Non si amavano e

la cosa era del tutto evidente, se avessero potuto si sarebbero

azzuffati in barba alle consuetudini sociali. “Di quale

realtà sta parlando, dottor Ricarolis? Io conosco soltanto la

realtà dei fatti e questa parla di due abitanti di Montebello

che si sono uccisi o che, più probabilmente, sono stati uccisi

e da chi e per quale motivo sono, come si dice, le due realtà

che a noi interessano al momento”. “Lei si ostina a ricercare

il mostro tra di noi”, ormai era un duello tra loro due. “Lei

pensa che qualcuno di noi possa arrivare a tanto”.

Teneva le braccia allargate e si era rivolto ai presenti.

“Non le sembrano ridicole le sue congetture? Sarei contento

che la sollevassero dall’incarico…”. “Sono molti a provare”,

gli rispose a tono il graduato, “questo sentimento, notaio

Ricarolis”. Il suo sguardo si era rivolto sfacciatamente al dottor

Montini ed aveva proseguito: “Ma, purtroppo per voi,

sono ancora il titolare dell’inchiesta e questo fino ad ordine

contrario con pace vostra…”. Dopo una pausa di silenzio che

gli aveva dato la possibilità di riflettere e che era pesata come

un macigno sui presenti, aveva ripreso: “Riccoboni!”. “Sì,

maresciallo!”, gli rispose il sottoposto. “Ci sei?”. “Eccome

se ci sono!”. Non era una risposta che si confaceva alla natura

dell’appuntato, evidentemente anche lui si era lasciato trascinare

da quel via vai d’emozioni. Il maresciallo si schiarì la

voce, che si era improvvisamente arrochita, per poi riprendere

il filo logico del suo ragionamento. “Quindi, dottor Montini

e notaio Ricarolis, sottoscrivete la versione del conte Alfredo?”.

Risposero, nella apparente comunione degli intenti, i due

servi del conte: “Certamente!”.

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