Quarta ed ultima parte del 19 capitolo de “le Nebbie del Passato”, spero tanto che vi sia piaciuto come è piaciuto a me.
Andrea
Scusate l’ardita similitudine, ma adesso vorrei, sempre se è
lecito… Vede come sono disponibile verso voi tutti, anche
se il ruolo che occupo mi consiglierebbe un altro tipo d’interrogatorio…
Dicevo… ah, si… vorrei ascoltare la sua versione
dei fatti o, come preferisce, conoscere il suo alibi per
quella sera”. Si era nuovamente rivolto all’appuntato, un
uomo che aveva bisogno di continue premure. “Riccoboni,
ci sei? Mi raccomando! Adesso puoi trascrivere la deposizione
del dottor Montini”. Il politico, superato il timore che
si prova prima di parlare in circostanze in cui non ci sentiamo
a nostro agio, tentava, nel limite del possibile, di mantenersi
distaccato, ma era un fatica che gli sarebbe costata cara
a lungo andare. “Era una giornata fredda e nebbiosa, siamo
partiti…”, aveva preso a raccontare. “Chi eravate, dottor
Montini”, lo interruppe bruscamente il militare. “Stavo insieme
al notaio Ricarolis…”. L’illustre notabile lo guardava
infastidito, mentre il sindaco continuava a parlare noncurante:
“ Ed al conte Alfredo con i suoi servitori degli alloggi e i
battitori di caccia…”. Non era il racconto ascoltato la sera
della festa al castello? Ma, adesso, si aggiungeva il valore
della parola scritta: verba volant scripta manent.
“Mi scusi, un attimo”, lo interruppe nuovamente, “dottor
Montini! Conferma, notaio Ricarolis? Se ha qualcosa d’aggiungere,
saremo ben lieti d’ascoltarla…”. Il notaio, nella
postura che aveva assunto la sua seduta, non sembrava turbato
per la piega che stava prendendo quel mal celato interrogatorio.
“Sì, eravamo insieme, ma non capisco?”. “Tutto a
suo tempo, tutto a suo tempo, notaio Ricarolis”, lo incalzò il
militare. E poi, rivolto al nobile: “E lei, conte Alfredo, si trovava
con i nostri illustri ospiti?”. Il dottor Diotallevi, colto
nel vivo, dai nervi gli rispose: “Perché si ostina ad interrogare
il conte? Cosa spera di ricavare? Il conte era impegnato…”.
Ma il maresciallo ancor più risoluto del sovrintendente,
sovrastandolo nel tono della voce, aveva riproposto la
domanda al nobile: “C’era anche lei, signor conte?”. Il titolato
si era ripreso da un temporaneo assopimento: “Oh… oh…
mi scusi…”, si massaggiò le tempie, cercando di rianimarsi.
“Oh, maresciallo, la testa… I pensieri mi conducono altrove…”.
Che noia doveva essere per il signore di Montebello
quel pedante ripetere la versione dei fatti! Il graduato fu colpito
dai modi, a dir poco singolari, del nobile, d’altra parte
non poteva essere altrimenti - per il maresciallo Leonardi
era come l’attrazione che da bambino si prova per l’esotico,
per il misterioso o l’imponderabile – e fu anche la ragione
per la quale si era rivolto in maniera indulgente verso di lui.
“Vorrei sapere di quel giorno in cui è stato trovato impiccato
il compagno Olmo. Cosa è successo, conte Alfredo, se ha
un ricordo in particolare?”. “Per così poco, maresciallo?”,
prese la parola il nobile. Il dottor Diotallevi, sconfitto, si era
fatto da parte. “Una battuta di caccia non tanto fortunata…”.
“Perché, signor conte?”. “I nostri segugi, cani allevati nell’arte
venatoria, quel giorno si comportavamo come se
temessero a dare del loro meglio e quando la giornata non
nasce nel miglior auspicio, noi cacciatori, che crediamo
nella superstizione, cerchiamo di non forzare il corso degli
eventi. Disposti ad accettare ciò che Dio e il suo meraviglioso
involucro, che è la terra, ci hanno donato”. Era il modo
di vedere le cose dall’alto della tradizione immutabile dei
secoli. “In parole povere…”, ma che parole blasfeme usava
il maresciallo? “Non avete cacciato quel giorno?”. “Se si
esprime in questi termini, direi proprio di no, maresciallo e
può capitare…”. “Conte Alfredo, scusi se la importuno
ancora una volta, vorrei…”. Il titolato si era messo a contemplare
la volta celeste, attraverso la piccola finestra con
balconcino che si trovava al primo piano del Comando.
“Guardi in lontananza lo stormo d’uccelli”, il nobile aveva
continuato a parlare seguendo il corso dei suoi pensieri,
”non le sembra meraviglioso l’universo? Potrei trascorrere
ore nella sua visione…”. Erano segnali della fine dell’inverno,
anche se appena iniziato? Oppure il frutto dell’immaginazione
del nobile? Il maresciallo, continuando con quelle
stupide manie investigative, aveva sorvolato le fantasticherie
del nobile per non mettere in imbarazzo nessuno dei presenti.
“Quando vi siete ritirati, conte Alfredo, nel casino di
caccia su al Montescuro?”. Il conte sembrava riflettere lontano
dalle noie terrene e poi con quel distacco ascetico che
hanno i monaci di un ordine di clausura, si era espresso:
“Probabilmente alle prime ombre della sera. Non so, le quattro
o le cinque…”. “Si ricorda se, il dottor Montini ed il notaio
Ricarolis, erano con lei?”. Ci fu un attimo, che era sembrato
interminabile, di silenzio. “Sinceramente non ricordo…”,
rispose dubbioso. “Forse sono arrivati dopo una mezz’ora,
un’ora al massimo credo…”. Che importanza potevano
avere per lui questo ripetere fatti avvenuti? Il conte si era
adagiato sulla sedia in una posizione più consona al suo
lignaggio, mentre, stancamente e rassegnato, aveva subito
l’inevitabile intervento del dottor Diotallevi, che, vicino a lui,
aveva ripreso ad agitarsi freneticamente. “Maresciallo, non
le sembra di aver calcato un po’ troppo la mano? D’aver
abusato della pazienza del conte di Montebello?”. “No,
Giulio”, era intervenuto il nobile poggiando una mano sulla
spalla del sovrintendente. “Il maresciallo fa soltanto il suo
dovere”.
Il conte portava una elegante giacca di velluto chiaro,
mentre il soprabito, sempre chiaro, lo teneva fra le mani il
dottor Diotallevi. “Grazie, signor conte!”, disse il maresciallo.
Da parte sua c’era ammirazione per il nobile, per
quel modo che aveva di porsi davanti agli eventi. “E lei,
notaio Ricarolis? Pensavo che partecipasse di più; la trovo
alquanto, e non è la prima volta, silenzioso. Vorrei che rilasciasse
la sua versione dei fatti, sempre a proposito di quel
giorno”. Era rigida compostezza, quella che sembrava
ostentare il notaio Ricarolis? O, piuttosto, il dominio delle
umane passioni? Nel frattempo, però, la parola che usciva
dalla sua bocca non trovava ostacoli al suo cammino. “Una
brutta giornata, nebbia dappertutto e poche tracce di animali
di passaggio nel bosco e per noi cacciatori è un brutto
segno”. Il notabile ripeteva il compitino a memoria già
ascoltato dal nobile di Montebello. “Che vuol dire, notaio
Ricarolis?”. Anche se già conosceva la risposta, lo voleva
tenere sulle spine, perché troppo odiosa era la sua supponenza
delle cose. “È talmente lampante che mi meraviglio di lei,
maresciallo!”, aveva risposto, il notaio, deridendolo. “Beato lei
che si meraviglia ancora di qualcosa… è da parecchio che
non mi meraviglio più di nulla… Comunque se ha la cortesia
di spiegarci, da parte mia ho la pazienza d’ascoltarla”. Il
maresciallo lo guardava sfidandolo. “Poche tracce, niente
selvaggina”, anche il suo sguardo era fisso verso il militare.
Rimasero così per alcuni secondi che ai presenti sembrarono
lunghissimi. Alla fine, per uscire dal vicolo cieco in cui
si era cacciato e che era certo che non lo avrebbe portato a
nulla, lo salvò l’ironia che possedeva innata: “E lei, dottor
Ricarolis così abile con il fucile, con quella bruma grigia,
doveva essere noioso girare a vuoto… Senza una meta per il
bosco… Forse, se vuole, potrei ricostruire quello che avrebbe
potuto fare con il tempo a disposizione. Mi ascolti, se
vuole…”. “Volentieri”, gli rispose in tono spocchioso.
Attese ancora qualche attimo prima di iniziare a parlare,
il tempo per accorgersi che tutti lo stavano guardando
interessati. “Si sarebbe potuto allontanare e, in una buona
mezz’ora di buon passo, raggiungere la Grande Quercia e
qui, dopo aver dato un appuntamento al compagno Olmo,
compiere quello che tutti sappiamo e ritornare, giusto in
tempo, per ritirarsi nel casino di caccia del conte e crearsi un
alibi attendibile…”. Il notaio si manteneva freddo, lucido
come al suo solito, nel suo gessato color fumo di Londra,
nonostante la gravità delle accuse che gli erano state fatte.
“Le sue sono soltanto insinuazioni”, non una parola di quello
che diceva era fuori posto, “frasi senza un senso, buttate
a caso… Conosco un certo modo investigativo, quando non
arrivano determinati risultati, che cerca di formulare ipotesi
di colpevolezza senza possedere le prove… perché lei non
ha nemmeno uno straccio di prova”. Il graduato, per nulla
colpito dalla realtà delle parole - era vero che non aveva
niente tra le mani e che doveva arrampicarsi sulla parete
liscia di una montagna – aveva proseguito l’interrogatorio in
corso, coinvolgendo, nuovamente, il sindaco di Montebello.
“Anche lei, dottor Montini, avrebbe potuto compiere l’azione
delittuosa poco fa esposta per il notaio Ricarolis e ritornare
per la sera al casino di caccia. Come abbiamo appreso
dal conte, potevate entrambi allontanarvi dalla zona in cui
eravate e tornare in paese… E poi, lei in particolare doveva
preparare il programma elettorale… non è vero, dottor Montini?”.
Differentemente dal suo compare, il notaio Ricarolis, il sindaco
Montini viveva quei momenti cercando di nascondere
gli attacchi di panico, che gli facevano tremare la postura
del corpo, mentre seduto, poco cavallerescamente lungo
disteso sulla sedia, rispondeva al militare.” Se la sentissero
gli abitanti di Montebello”, cercava con gli occhi il conforto
dei presenti. “Ma le sembra che io possa sacrificare tanti
anni della mia vita politica per compiere un delitto. Sarei un
folle se facessi questo!”. “Be’, dottor Montini, se vogliamo
essere un po’ maligni, in fondo il compagno Olmo era o non
era un suo avversario politico? Un consigliere comunale
dell’opposizione. Chissà quanti bastoni tra le ruote ha dovuto
sopportare. Non era la memoria storica del paese, come mi
ha riferito don Alfio allo spaccio?”.
Tutti, tranne il conte - perso nelle sue riflessioni – si
erano rivolti a don Alfio come per chiedergli ragione delle
parole del graduato. “Ed invece in questo modo”, proseguì
il maresciallo, “mi perdoni ancora, con quello che avrebbe
potuto fare, come si dice spesso ha salvato capra e cavoli”.
“Lei dimentica”, gli rispose risentito. “La storia del mio partito.
La nostra tradizione democratico-cristiana ed i suoi
valori di tolleranza e di libertà che mal s’accordano con
l’eliminazione fisica degli avversari politici, cara ad un
certo periodo storico”. Il riferimento del sindaco al fascismo
era del tutto evidente.
L’indagatore sembrava non preoccuparsi della manfrina
del primo cittadino, che aveva il sapore di un proclama
da campagna elettorale, ed aveva cambiato il suo raggio
d’azione. “Per lei, notaio Ricarolis, il movente può essere
più complesso. Forse incomprensioni personali, malumori
del passato mai sanati ed esplosi improvvisamente… Io
parlo in questo modo, ma non vorrei passare per un uomo
che possa giustificare un atto contro natura, qual è un omicidio…”.
“Le ripeto, le sue sono soltanto congetture”, gli
rispose, il notaio, odiosamente. “Che non hanno nulla a che
vedere con la realtà che stiamo vivendo”. Non si amavano e
la cosa era del tutto evidente, se avessero potuto si sarebbero
azzuffati in barba alle consuetudini sociali. “Di quale
realtà sta parlando, dottor Ricarolis? Io conosco soltanto la
realtà dei fatti e questa parla di due abitanti di Montebello
che si sono uccisi o che, più probabilmente, sono stati uccisi
e da chi e per quale motivo sono, come si dice, le due realtà
che a noi interessano al momento”. “Lei si ostina a ricercare
il mostro tra di noi”, ormai era un duello tra loro due. “Lei
pensa che qualcuno di noi possa arrivare a tanto”.
Teneva le braccia allargate e si era rivolto ai presenti.
“Non le sembrano ridicole le sue congetture? Sarei contento
che la sollevassero dall’incarico…”. “Sono molti a provare”,
gli rispose a tono il graduato, “questo sentimento, notaio
Ricarolis”. Il suo sguardo si era rivolto sfacciatamente al dottor
Montini ed aveva proseguito: “Ma, purtroppo per voi,
sono ancora il titolare dell’inchiesta e questo fino ad ordine
contrario con pace vostra…”. Dopo una pausa di silenzio che
gli aveva dato la possibilità di riflettere e che era pesata come
un macigno sui presenti, aveva ripreso: “Riccoboni!”. “Sì,
maresciallo!”, gli rispose il sottoposto. “Ci sei?”. “Eccome
se ci sono!”. Non era una risposta che si confaceva alla natura
dell’appuntato, evidentemente anche lui si era lasciato trascinare
da quel via vai d’emozioni. Il maresciallo si schiarì la
voce, che si era improvvisamente arrochita, per poi riprendere
il filo logico del suo ragionamento. “Quindi, dottor Montini
e notaio Ricarolis, sottoscrivete la versione del conte Alfredo?”.
Risposero, nella apparente comunione degli intenti, i due
servi del conte: “Certamente!”.
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