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venerdì 16 dicembre 2011

Il Tesoro di Gengis Khan - 2008

Diciannovesimo libro della serie classica di Dirk Pitt segue il deludente Vento Nero - di cui non è nemmeno lontano parente - e precede Morsa di Ghiaccio.

Devo dire che secondo me è il migliore dei libri scritti dalla coppia Cussler&Cussler sia per la per trama che per le ambientazioni, mi è piaciuto in particolare la traversata del deserto dei Gobi, mi ha ricordato molto la stessa traversata del Sahara, ma non per la scena scritta uguale, ma per l'aria che si respirava tra le pagine...

Trama

La minaccia che si trovano ad affrontare Dirk Pitt e Al Giordino è probabilmente la più pericolosa della loro vita.
Una minaccia che aggredisce la principale fonte di sostentamento dell’economia mondiale, e che affonda le radici nella leggenda del più grande condottiero di tutti i tempi: Gengis Khan.

Tutto ha inizio sul lago Baikal, in Russia. Pitt e Giordino sono impegnati in una missione scientifica, affiancando per conto della NUMA alcuni scienziati russi, quando un’inspiegabile onda anomala rischia di travolgerli.

Pitt riesce a salvare anche una squadra impegnata in ricerche petrolifere ma, quando la squadra viene sequestrata, Pitt si trova di fronte a qualcosa di ben più sinistro di un semplice evento naturale.

Inizia così a seguire le tracce di un’oscura macchinazione internazionale che lo porterà in Mongolia, nella città di Xanadu, dove uno spietato e ricchissimo imprenditore nutre manie di grandezza e concepisce piani che si traducono in ondate di violenza.

Dai gelidi laghi siberiani alle sabbie roventi del deserto del Gobi, fra pericoli, intrighi e avventure, Dirk Pitt e Al Giordino lotteranno strenuamente per impedire alla terra di tremare di nuovo, causando la fine della civiltà.

Una corsa dall’esito tutt’altro che scontato...



Un brano dal libro


Dopo quattro ore di sonno, Pitt si svegliò di colpo e balzò a sedere sulla branda. Nonostante tutto fosse immerso nel silenzio, i sensi gli gridavano che qualcosa non andava. Accese la lampada accanto al letto e appoggiò i piedi a terra, ma quando fece per alzarsi rischiò di finire gambe all’aria.

Strofinandosi gli occhi per allontanare il sonno, si rese conto che il battello era inclinato a poppa con un angolo di quasi dieci gradi. Si vestì in fretta e si lanciò su per la scaletta che portava al ponte principale... dopo aver percorso un’altra rampa di scale per raggiungere la plancia, spalancò la porta e lanciò un’occhiata circolare alla stanza.

Contrariato, vide che era deserta. Chiedendosi se fosse rimasto solo a bordo, esaminò la consolle alla ricerca di un interruttore a bascula rosso con la scritta TREVOGA; non appena lo ebbe azionato, sirene d’allarme presero a squillare per tutto il battello infrangendo la pace della notte.

Di lì a qualche istante, abbandonata la propria cabina al piano sottostante, l’energico capitano del Vereshchagin varcò la soglia del locale con l’impeto di un toro infuriato.

«Che succede, qui dentro?» balbettò l’uomo, faticando, nel cuore della notte, a esprimersi in inglese.
«La nave sta affondando», gli comunicò Pitt con calma. «Non c’era nessuno, in plancia, quando sono entrato un minuto fa.»

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